Religiosità e ritualità nelle cerimonie pasquali in Sicilia

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Il tempo quaresimale inizia con rituali di penitenza.

I riti Pasquali, come è noto, hanno avuto origine da antichi cerimoniali giudaici per celebrare la liberazione degli Ebrei (nella Bibbia definiti “popolo unto e scelto da Dio”) dalla schiavitù in Egitto. Per chiarire la tradizione, il filosofo ellenistico di formazione ebraica Filone d’Alessandria (30 a.C. – 45 d.C.) riferisce che la Pasqua rappresenta il ricordo e il ringraziamento del popolo ebraico a Dio per il passaggio del Mar Rosso; nello stesso tempo, esprime il significato allegorico di purificazione dell’anima.

Su questa festività, inoltre, si è innestata una delle più importanti celebrazioni religiose cristiane con la rievocazione della Resurrezione di Cristo, nella quale, in epoca medievale, è stata elaborata una straordinaria festa popolare ad intenso fervore spirituale in cui, fra l’altro, si connettono tradizioni rituali precristiane di propiziazione specifiche del calendario agrario, ovvero quando annualmente si esalta la rinascita della natura, dopo il freddo e la rigidità dell’inverno.

Per spiegare il senso profondo della Pasqua, Antonino Buttitta cita lo storico delle religioni rumeno Mìrcea Eliade e sostiene che «le esperienze dell’uomo della civiltà agricola, legate all’esempio della vegetazione, sono orientate fin da principio verso il gesto, verso l’atto […].

L’atto, il rito è indispensabile […] i misteri antichi non avrebbero potuto organizzarsi come religioni iniziatiche se non avessero avuto dentro di sé un lungo periodo preistorico di mistica agraria». La Pasqua è la morte e la rinascita di Dio, ma è anche la rinascita della natura, la nostra rinascita a nuova vita liberati da tutti i peccati.

«Questo è l’archetipo - precisa ancora Buttitta -, questo il significato che più o meno consapevolmente emerge da tutti i riti di Pasqua, da tutte le loro illustrazioni religiose». Dal canto suo, per Luigi Lombardi Satriani la Pasqua «costituisce sia il riflesso speculare, in positivo, del venerdì - il tempo del dolore e della sua commemorazione -, sia la definitiva vittoria su di esso, la sua reintegrazione nella glorificazione della vita.

Resurrexit non inerisce solo al Cristo, viene percepito come possibilità per ciascun uomo, e non soltanto una prospettiva metafisica, ma anche nell’orizzonte mondano e storico». Giovanni Battista Bronzini, in un lavoro sulla storia e l’analisi della cultura tradizionale, individua, a proposito del ciclo pasquale «cerimonie liturgiche alle quali il popolo ha dato colori spettacolari, forme e attributi nuovi senza alterarne il carattere; cerimonie rituali propiziatorie che si ripetono a ogni inizio annuale o stagionale, e in particolare per la Pasqua indicano l’inizio della primavera tanto che il periodo è detto anche del principio di primavera o di Pasqua; e infine credenze e pratiche varie, il cui singolo significato ci sfugge, ma che si riportano in complesso al valore sacrale eccezionale di quei giorni».

Per inquadrare i multiformi aspetti della religiosità popolare dell’attuale Pasqua è necessario rilevarla come evento millenario di fede, di mistero e, nello stesso tempo, di estasi mistica all’interno della sua specifica liturgia di passione e morte di Cristo, nella quale le comunità hanno elaborato le loro interpretazioni in esiti folklorici.

A questo proposito Paolo Toschi sostiene che «quattro sono le costanti che caratterizzano un fatto folklorico: numero, tempo, spazio, tono. Un uso […] deve essere fatto proprio da un numero più o meno grande di persone, deve essersi mantenuto vivo per un tempo più o meno lungo, ed essersi diffuso per un’area più o meno ampia, grazie alla sua rispondenza a quella semplicità di tono, a quella necessità essenziale che rispecchia la psicologia e la vita delle classi popolari».

Da qui le diverse tradizioni popolari dei riti pasquali. Fra questi, durante la Settimana Santa, alcuni sono particolarmente interessanti, in quanto in Sicilia caratterizzano le tradizioni delle differenti province.

Per esempio, l’Incontro è un rito compiuto a Ribera (AG), dove nei giorni precedenti la Pasqua vengono apprestate le tre statue coinvolte nell’incontro che, nel giorno di Pasqua, simboleggia la gioia della resurrezione: cioè, la statua del Cristo, addobbata con nastri colorati, fiori e fave verdi e quella dell’arcangelo che ha il compito di annunziare la resurrezione a Maria, rappresentata dalla statua della Madonna, che indossa un manto celeste sotto al quale c’è quello nero del lutto dei giorni della settimana santa.

A mezzogiorno della domenica di Pasqua viene realizzato tra festanti ali di folla il rituale dell’incontro tra la Madonna e Gesù risorto; però, la statua dell’Arcangelo precede le altre due per portare la notizia della resurrezione.

Nel momento dell’incontro la statua della Madonna viene liberata dal manto nero mentre l’arcangelo si allontana. A San Cataldo (CL), si svolge la processione notturna del Giovedì Santo arrivando fino alla piccola chiesa di “Lu Ratò”; infatti, qui si trova la statua del Cristo morto dove avviene l’episodio tra i più commoventi della sacra rappresentazione.

Vengono rievocati i dinieghi dei soldati romani che rimangono insensibili di fronte al dolore della Madonna alla quale i confratelli del Santissimo Sacramento chiudono in faccia la porta della Chiesa. La banda musicale, nello stesso contesto, esegue le mesti note del “Pianto di Maria”, intercalato dal “Canto di passione”, tipico della tradizione popolare di San Cataldo.

Il canto viene eseguito da una grande quantità fedeli. Fra i vari rituali svolti nel territorio nisseno è da citare anche ‘a Scinnenza, una rappresentazione della Passione di Cristo messa in scena nell’arco di varie giornate a Caltanissetta.

La Processione con San Pietro, si svolge a Caltagirone, in provincia di Catania; si tratta di un rito che, in qualche modo, ha diverse similitudini con quello di Ribera. La domenica di Pasqua si svolge per le vie centrali della città un’imponente processione nella quale sono portate tre statue.

La prima, realizzata in cartone pressato con l’interno vuoto per lo spazio del portatore, è quella di San Pietro; la seconda è quella del Cristo risorto che va a cercare la Madonna per celebrare la Resurrezione; infine, la terza è proprio la statua della Madonna.

Al momento dell’incontro tra Madre e Figlio, la statua della Madonna viene liberata dal manto del lutto, scoprendo quello sottostante bianco e celeste. Lu Signuri di li fasci è la commemorazione religiosa più suggestiva della provincia di Enna e viene realizzata il Venerdì Santo a Pietraperzia.

L’anima di questa vara è costituita da una trave di legno di cipresso, terminante a croce e alta complessivamente più di otto metri. Ad essa vengono fissati due semicerchi di ferro, fermati con viti alle staffe che si trovano nella parte alta, in modo da formare un unico cerchio al quale vengono legate altre centinaia di fasce.

Ogni fedele presenta ai confrati responsabili un biglietto d’iscrizione, per ricevere i cosiddetti misurèddi, ossia, nastrini rossi benedetti, che vengono legati all’avambraccio o alla caviglia. Sempre nella provincia ennese, a Cerami, il periodo che precede la Pasqua, è caratterizzato dall’esecuzione in chiesa, da parte dei lamentatori, di canti in latino e in dialetto ceramese.

Questi canti particolarmente suggestivi vengono eseguiti durante le “Quarantore”. Di particolare interesse è anche l’esecuzione del suggestivo canto polivocale “Ciangi, ciangi Maria”. A Messina il rito clou fra quelli realizzati nel corso della Settimana di Passione si svolge il Venerdì Santo con la secolare processione delle “Barette” o “Varette”.

È composta da undici vare ed è preceduta dai confratelli del SS. Crocifisso e dai “tamburiddari” rullanti a lutto. Dietro l’ultima “baretta” sfilano le varie confraternite della città, quindi segue la reliquia del “Sacro Legno” coperta dal baldacchino e portata dal decano del capitolo, con il vescovo accompagnato dal clero.

Tra i diversi canti popolari della tradizione messinese c’è un’antica filastrocca “A troccula sunau” cantata la domenica di Pasqua da bambini. Altra caratteristica manifestazione del periodo pasquale nel Messinese è la Festa dei giudei.

È realizzata a San Fratello e consiste in un rito a carattere sacro e profano nel quale oltre mille trombe in ottone vengono suonate da trombettieri, chiamati “giudei” e appartenenti ai vari ceti sociali della comunità.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’avvenimento è documentato da Giuseppe Pitrè il quale, nell’opera Leggende, usi e costumi del popolo siciliano, nel capitolo Le feste dell’anno, scrive che «nei giorni di Giovedì e Venerdì della Settimana Santa […] si mettono in giro pel Comune un buon numero di mandriani travestiti in una certa foggia carnevalesca […] un sacco con due buchi per gli occhi, ed una maglia di pelle nera lucida copre il capo, dietro il quale si rovescia a forma di cappuccio, pendente per via di una enorme nappa fino ai polpacci delle gambe, una specie di giubba egualmente rossa, che va a congiungersi alla vita con uno stretto paio di brache; gambali di stoffa gialla scendono fino ai calzoni: un insieme stranissimo, reso anche tale da un mazzo di catene a maglie schiacciate, triste avanzo di discipline, che i Giudei agitano e scuotono per accrescere il rumore, lo strepito ed il baccano onde assordano quanti incontrano e quanti essi si precipitano ad incontrare».

Benedetto Rubino, a cui si deve una diligente illustrazione della “pazzesca costumanza”, «ci vede una reliquia di sacra rappresentazione, indubbiamente muta, della Passione, della quale mancherebbe il protagonista, vittima dei Giudei crucifissori».

Sempre nella provincia peloritana, a Barcellona Pozzo di Gotto il Venerdì Santo si svolgono due processioni dette delle Varette; entrambe si snodano contemporaneamente per le strade: quella della città del Longano e l’altra, di Pozzo di Gotto, composte ognuna di tredici “varette”.

Lungo i percorsi viene eseguita dai gruppi dei visillanti la “Vexilla Regis prodeunt”, un canto gregoriano appartenente alla categoria dei polivocali ad accordo, i cui versi sono stati scritti da Venanzio Fortunato (VI sec. d.C.) vescovo di Poitiers.

Altro canto di elaborazione e tradizione popolare, che viene eseguito nelle chiese di Barcellona P.G., è “Chist’è n’ura di notti”, ovvero un brano che riprende la simbologia dell’orologio e della scansione temporale della passione.

Le quattro processioni del Venerdì Santo, fanno parte delle manifestazioni organizzate a Palermo. In questa città, il venerdì di passione è un giorno particolare della Settimana Santa; si svolgono quattro processioni: la prima è quella dei “cocchieri” che portano in processione la vara del Cristo morto e la statua della Madonna.

Le due vare sono portate a turno da 32 persone, scortate da figuranti che indossano armature tardo-medievali. La seconda processione è organizzata dalla confraternita dei “panettieri” che portano anch’essi simulacri identici al primo corteo; le statue sono scortate da figuranti che indossano armature romane costruite sul modello impiegato per i pupi dai maestri pupari.

La terza processione è quella della Vergine SS. Addolorata della Soledad e la quarta coinvolge gli “artigiani” palermitani, che portano il simulacro della Madonna del Lume. Nella provincia palermitana di Piana degli Albanesi nella Domenica delle Palme, per rievocare l’entrata di Cristo a Gerusalemme, si svolge una processione nella quale il vescovo cavalca un asino con in mano un crocifisso ed una piccola palma.

Come è noto, in questa città, ci sono cinque delle otto comunità albanesi presenti nell’isola, dove i riti greci legati alla Settimana Santa hanno conservato tutto il loro fascino della cultura balcanica ed ellenica. Altro momento atteso dai fedeli di Piana degli Albanesi è la lavanda dei piedi che si svolge il Giovedì Santo, quando il sacerdote che impersona San Pietro accetta di farsi lavare i piedi dal vescovo.

I riti pasquali di questa comunità iniziano la settimana precedente quella di Pasqua, con l’esecuzione del canto “Lazeri”, intonato da giovani accompagnati dal sacerdote, il papas. La Madonna “Vasa vasa” è un rito compiuto a Modica (RG); la domenica di Pasqua a mezzogiorno in punto le statue della Madonna e del Salvatore s’incontrano nella piazza della cittadina tra ali di folla festante.

Nel momento dell’incontro la statua della Madonna, azionata da un manovratore, si abbassa per baciare il Salvatore. Questa tradizione non esprime soltanto una simbologia di religiosità popolare, ma rimanda a pratiche rituali precristiane di tradizione agraria; in passato, infatti, dalla caduta del mantello nero della Madonna, i contadini traevano auspici per la stagione delle messi.

La processione del fercolo dell’Ecce Homo, è organizzata il Venerdì Santo a Canicattini Bagni (SR); è caratterizzata da un corteo che, pur se ha perso, nel corso del tempo, alcuni dettagli organizzativi, tuttavia non ha smarrito il suo fascino particolare coinvolgendo numerosi fedeli.

In questa giornata si porta in processione, con l’ausilio di alcuni macchinari, la statua dell’Ecce Homo, realizzata in cartapesta e posta su di un fercolo in stile gotico. Il simulacro è preceduto da uno stendardo nero che anticamente era portato in processione dal contadino che aveva offerto al Signore la più grossa quantità di grano.

A Trapani, La Processione dei Misteri è forse il più famoso rito siciliano della Settimana Santa. La processione è costituita da 18 splendidi gruppi statuari lignei realizzati da maestranze cittadine. Secondo gli studiosi i Misteri trapanesi risalirebbero al XVII secolo.

Riproducono, con emozionante verismo, le scene della Passione di Cristo. Il Martedì Santo si svolge la processione della Madonna dei massari, organizzata dai discendenti dei portatori delle masserizie che, in passato, erano pagati dai contadini più agiati per trasportare i misteri e che, poi, furono esclusi dalla processione ufficiale del venerdì.

Il Mercoledì Santo è la volta dei fruttivendoli, che organizzano per le vie cittadine la processione in onore della Madonna della Pietà, fino alla rituale visita alla Madonna dei massari. Il Venerdì Santo si svolge la processione più imponente dell’urna del Cristo morto e dell’Addolorata che lo segue in corteo con i fedeli e con la partecipazione delle statue appartenenti alle varie maestranze.

Tale processione parte nel primo pomeriggio del venerdì e si conclude la mattina del sabato. Il corteo del Cristo morto e dell’Addolorata è un’imponente processione realizzata a Marsala (TP) il Giovedì Santo, con le statue del Cristo morto e dell’Addolorata.

Il corteo prevede la partecipazione di nove gruppi di figuranti, ognuno dei quali rappresenta eventi legati alla Passione di Cristo. Partecipano un gruppo di ragazze che portano palme e rametti di ulivo, nonché alcuni bambini che portano preziosi copricapo di proprietà della Chiesa e che sono ornati da monili d’oro delle rispettive famiglie.

Partendo dalla rappresentazione dell’ultima cena e fino all’ascesa al Calvario, i gruppi sono preceduti da un uomo incappucciato che porta la croce, da un uomo definito giudeo che suona la tromba ed un altro che suona il tamburo.

Generalmente la processione dei misteri si conclude la sera con la sacra rappresentazione teatrale dei momenti più significativi della Passione. Fra i vari canti tradizionali della Settimana Santa eseguiti nelle nove province siciliane, sono anche da citare: “Lu Venniri matina”, un canto popolare, del quale è forse interessante riportare la prima parte: Lu venniri matinu agghiorna chiaru, - la Matri Santa si misi ‘n caminu, - ‘ncuntrannu a San Giuvanni pi la via, - ci dissi: unni sta’ jennu o Matri mia.

- Vaiu circannu a Gesù Nazzarenu, - ca lu pirdia e nun lu pozzu asciari. - Dda jiti a la casuzza di Pilatu, - lu truviriti ‘nchiusu e ‘ncatinatu. - Tuppi tuppi cu è ddocu d’arreri? - Sugnu la to’ Matruzza Addulurata. - O Santa Matri nun vi pozzu apriri, - chi li judei mi tennu incatinatu.

Altra appassionante canzone popolare del periodo Pasquale è “Venniri Santu”, un brano che riferisce l’episodio della Veronica e del velo con impressa la faccia sanguinante del Cristo: Vènniri Santu, vènniri matinu - quannu la Matri Santa si misi ‘n caminu, - scuntrau na vicchiaredda pi la strata - ed era la Vironica chiamata. - Bona donna un omu hatu scuntratu – chi nni lu visu è tuttu ‘nchiajatu, - vistutu cu na vesta lavurata, - beddu ca nuddu cci po’ assumigliari. - Bona donna un omu hajiu scuntratu - e nni lu visu è tuttu nchiajatu, - la facci cu stu velu cci haju asciugatu - e lu so visu m’arristò stampatu.