Il carnevale di Capua

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Il profano che apre la strada al sacro. “Carnevale”, dal latino carnem levare (eliminare la carne) che termina il giorno di Martedì Grasso, lasciando spazio al periodo quaresimale, di digiuno, che inizia il giorno dopo con il mercoledì delle Ceneri.

In Campania ed in particolare nella medievale Capua, antica capitale del popolo osco, si svolge un carnevale molto particolare, che giunge quest’anno alla sua 131-esima edizione. La prima edizione, se così può essere definita, risale al 1886 quando il Carnevale dei signori svoltosi fino ad allora nelle dimore private e più a carattere orgiastico e spinto, si fuse con quello del popolo, più semplice e meno artefatto.

Venne formato un vero e proprio comitato e l’annuncio, di tale unione, fu proclamato dai cavalieri Francesco La Manna e Vincenzo Pizzolo, che erano a capo del suddetto. I balconi si addobbano, si gettano coriandoli dalle finestre. In un clima di festa finalmente restituita al popolo, si ha la prima sfilata di maschere.

Tra tutte, si distinse e poi vinse, un particolare corteo (mascherata) di trenta persone che “portarono in scena”: la sfiducia ai medici e lo sciopero degli infermi. Gli abitanti della luna ed il globo misterioso, questi i temi dei due carri.

Ancora oggi il massiccio corteo(che anticamente indossava il costume tradizionale detto Domino) di maschere e carri si svolge lungo corso Appio per giungere poi a piazza dei Giudici, dove avvenne proprio l’antico proclama dei due cavalieri.

Sempre in tale piazza, l’ultimo piano di Palazzo Gianfrotta, fu adibito a treno, con vagoni e locomotiva fumante. Essendo come ora, una critica (anche non troppo velata) colorata dalla caricature delle maschere allegoriche, in questo caso si rimandava alla ancora mancata realizzazione della direttissima Napoli – Roma.

Oggi come allora il tutto ha inizio quando il sindaco consegna le chiavi delle città a Re Carnevale. Re Carnevale recita al popolo un proclama e con i suoi cortigiani elenca quelle che sono state le mancate promesse dell’amministrazione pubblica.

A ciò non ci si può sottrarre. È un’antica regola che non può essere messa da parte, perché il popolo aveva solo questo momento storico per esprimersi e denunciare tutte le malefatte compiute da chi era a capo della città.

Attraverso proprio i canti satirici, le cicuzze, vengono portate alla luce, analizzate e rese pubbliche, le parti negative della politica della città, ancora oggi rigorosamente in lingua dialettale. Il Corso Appio risplende di luminarie ed in ogni angolo c’è musica e banchi enogastronomici.

Un dolce molto buono è, neanche a dirlo, le chiacchiere, anticamente detta frictilia, una pastella fritta (o cotta al forno), intrecciata a mo’ di nodo, cosparsa di zucchero. I carri sfilano così per la città mostrando ogni anno la sempre più alta e raffinata arte dei maestri cartapestai.

Poi, a mezzanotte del Martedì Grasso, avviene il funerale di Re Carnevale con tanto di vedove a lutto e lamenti e, l’incendio del suo catafalco. Salutando Carnevale, simbolicamente si saluta la gioia che si alterna al dolore. Il passaggio dal periodo grasso a quello magro della Quaresima è appena iniziato.