Un esperimento di antropologia culturale

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Con il diffondersi di strumenti tecnologici validi a realizzare immagini fotografiche e televisive si sta abbandonando il sistema delle descrizioni, nel passato fatte con la penna e taccuino. Le immagini, invece, in quanto dati e segni immediati, sono, di fatto, primarie rispetto alle descrizioni realizzate con le sole parole che al contrario subiscono un processo di comunicazione e di intermediazione di secondo livello.

Nelle relazioni scritte nei secoli XVIII e XIX dai viaggiatori prima della scoperta della macchina fotografica, per illustrare la realtà sociale delle popolazioni e degli ambienti visitati, talvolta venivano commissionate a disegnatori apposite pagine da intercalare nelle pubblicazioni; erano le prime documentazioni etnografiche di diverse regioni e quelle di diverse popolazioni europee ed extraeuropee.

A tale proposito non si intende qui affrontare le complesse questioni che, da diversi decenni, sono alla base del dibattito dell’antropologia visuale. Tuttavia, in tale quadro si può fare un rapido riferimento agli importanti contributi degli esordi di questo genere di indagini e documentazioni di etnofotografia ed etnocinematografia; pertanto, su tale contesto si citano le riprese compiute da Franz Boas tra i Kwkiutl della costa nordoccidentale del Canada e le fotografie fatte da Bronislaw Malinowski intorno al 1916-1917 nelle isole Trobriand.

Si deve tenere presente, inoltre, per dare giusto valore all’antropologia visuale all’importante metodo di Roberth Flaherty della cosiddetta «camera partecipante» che, esplorando l’arcipelago delle Terre di Baffin, ha documentato la vita degli eschimesi riprendendo la cattura della foca, la pesca del salmone, la caccia al tricheco, la costruzione dell’ igloo, il sopraggiungere dell’uragano e la ricerca di un riparo.

Da questo approccio è derivato l’ulteriore realismo di Dennis A. Kaufmann, al quale si deve la nozione di «cineocchio», che ha suggerito molto ai documentari di propaganda dei tre regimi dittatoriali caratterizzanti la storia del XX secolo. Nel contempo, un forte contributo alla ricerca e alla documentazione etno-antropologica visuale, negli anni ’30 del Novecento, è stato realizzato con immagini fotocinematografiche da Margaret Mead e suo marito Gregory Bateson.

Hanno documentato le culture delle isole di Bali, Samoa e Nuova Guinea; i loro documentari cinematografici e le numerose fotografie attualmente costituiscono preziosi materiali di studio. Importante documentazione di antropologia visuale sono le fotografie scattate nel 1925-27 da Marc Allegret durante il viaggio compiuto da Andrè Gide in Congo, da Èric Lutten fotografo nella missione Dakar-Djibouti (1931-1933) diretta dall’etnografo Marcel Griaule e da Michel Leiris.

Nelle stesso modo sono particolarmente importanti i documentari di Jean Rouch del quale è opportuno tenere presente il forte realismo di La chasse au lion à l’árc e Le Maitres Fous. Tra gli antropologi visuali contemporanei è doveroso ricordare David Mac Dougall che ha proposto nuove istanze metodologiche basate sulla compartecipazione interpretativa dei protagonisti della cultura documentata.

Questa metodologia fu adottata, già dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso, in numerosi documentari e film, da Vittorio De Seta, che può essere considerato l’antropologo visuale italiano più noto. Per mettere in risalto l’attuale importanza dell’antropologia visuale, la F.I.T.P. ha dedicato a De Seta una rassegna internazionale del documentario etnografico.

Questa breve sintesi sulla validità dell’antropologia visuale come strumento di documentazione e nello stesso tempo di analisi, costituisce una modesta premessa per giustificare l’esperimento che si propone in questo numero de Il Folklore d’Italia, nel quale è stato documentato, tramite immagini fotografiche, l’insieme dell’evento Italia e Regioni che si è svolto a Vieste dal 22 al 24 settembre.

Si deve sottolineare che è stata una manifestazione organizzata con competenza dai diversi responsabili locali. Inoltre, i gruppi folklorici partecipanti, nei diversi momenti in cui l’evento è stato suddiviso, hanno dimostrato di aver approfondito le ricerche sui rispettivi patrimoni di cultura popolare; essi sono stati capaci di realizzare interessanti trasposizioni sceniche nelle due serate di spettacolo, così come di proporre pietanze tradizionali in occasione dei “Cuochi in Piazza”, di attuare gare di giochi tradizionali e studi scenografici realizzati per il “Teatro Laboratorio”.

Questi diversi momenti dell’incontro viestano sono stati documentati, come si è accennato prima, realizzando un’apposita documentazione fotografica, grazie alla quale, con la pubblicazione ne Il Folklore d’Italia di alcune immagini, i gruppi si possano riconoscere; nello stesso tempo la documentazione intende trasmettere l’attuale vitalità delle culture popolari.

Inoltre, la stessa documentazione si propone di conservare le immagini dell’odierna realtà per le future generazioni, le quali potranno utilizzare i vantaggi dell’immediatezza delle immagini che offrono un importante contributo visivo per analisi scritte e condotte con le opportune attenzioni teorico-metodologiche che il dibattito antropologico intanto avrà portato avanti.