Maschere di Carnevale ad Alessandria del Carretto

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La gente assiste allo spettacolo disponendosi intorno alla piazza e qualche anziano offre ai “Pulcinelli” del vino.

1. IL CONTESTO

Alessandria del Carretto, ubicato a circa mille metri sul livello del mare, è un paese alle pendici del Pollino in provincia di Cosenza ai confini tra la Calabria e la Basilicata, fondato nel XVII secolo ad opera di contadini provenienti da Oriolo.

Centro agricolo-pastorale, che negli ultimi decenni ha subito un forte riduzione della popolazione per lo più emigrata, oggi conta circa 600 abitanti. In questo contesto, la ritualità che si manifesta attraverso la festa della “pita” e durante il carnevale con la sfilata e i giochi rituali dei “Pulcinelli belli”, contribuisce a connotare la vita del piccolo centro.

2. I POLËCËNËLLË BIELLE

La vestizione dei “Pulcinelli belli” è molto complessa. Indossano un pantalone bianco, che infilano in ghette di cuoio - all’interno di una delle quali pongono una cannuccia - una camicia bianca e una cravatta nera. Alla camicia sovrappongono fazzoletti di seta ricamati a mano.

Sulle spalle portano scialli colorati, che scendono lungo le braccia. Ogni Pulcinella si veste ed è aiutato a vestirsi rimuovendo più volte i fazzoletti, si guarda continuamente allo specchio, allarga le braccia per verificare la posizione degli scialli e prova i passi della danza.

Sulla testa hanno il “cappelletto”: una sorta di coppolone lungo che, appiattendosi, si allarga sui lati verso l’alto; è di seta pura, e poggia su una struttura di vimini; è tenuto fermo sulla testa da un foulard colorato che, coprendo il collo e le orecchie, si annoda sotto il mento; è decorato con penne di gallo, fiori di seta e nastri colorati che coprono le spalle e parte del petto, scendendo lungo le guance.

Al centro del “cappelletto” è fissato uno specchietto - su cui è posa una collana di perle“probabilmente – come sostengono Domenico Scafoglio e Luigi Lombardi Satriani in un lavoro su Pulcinella del 1992 - perché lo specchio si riteneva tradizionalmente dotato di proprietà magiche ed era mezzo per accedere al regno dell’inversione.

Ma oltre a essere simbolo del rovesciamento e strumento magico di protezione, lo specchio cattura le immagini per poi magicamente liberarle: e, in società come queste – com’è stato da tempo osservato – metà dell’anno trascorre di Anna Maria Musilli nell’attesa del carnevale, l’altra metà nel ricordarlo. Questi significati non sono però presenti alla coscienza degli attuali abitanti del paese, per i quali gli specchi servono soltanto per controllare le mosse di eventuali ladri” .

Dietro la schiena all’altezza della vita è legato un grosso campanaccio, che viene tappato con carta, perché non suoni, durante il ballo. Sul viso i Polëcënëllë bielle indossano una maschera, tenuta da legacci - fatta con legno di tiglio o di pioppo - che è di colore bianco, i baffetti e le arcate sopracciliari sono di colore nero, le guance presentano dei pomelli di un colorito roseo.

La maschera non ha caratteri grotteschi e la linearità dei tratti è solo contraddetta dall’allungamento lieve del mento. Alle mani infilano dei guanti neri e prendono in mano u scriazz’, un bastone di legno intarsiato da cui pendono dei “pon pon” di lana .

I Polëcënëllë bielle si riuniscono in una casa, dove avviene la vestizione collettiva, situata in alto alla periferia del paese e di lì escono in gruppo per andare a prendere ‘a zita, la sposa, che ha il volto scoperto ed è vestita con un abito colorato da cerimonia, lungo fino all’altezza delle caviglie, che lasciano intravedere calze bianche ricamate e scarpe basse, adatte alla danza nella piazza di Alessandria, il cui manto è fatto di pietre lastricate.

Al vestito la sposa sovrappone un grembiule ricamato e un bolerino che a volte è della stessa stoffa dell’abito. 3. La sfilata dei Polëcënëllë bielle Il gruppo delle maschere parte dalla parte superiore del paese, dove percorre i vicoli ballando a suon di organetto e tamburello.

Sempre a ritmo di danza i Polëcënëllë bielle si spostano nella piazza, e lì danzano con lo scriazz’ retto con la mano destra e posizionato, parzialmente sotto lo scialle, all’altezza della schiena alternandosi con la sposa che balla ruotando su se stessa e reggendo i lembi del grembiule.

È una danza ripetitiva, fatta di pochi movimenti, che vengono eseguiti per un’intera giornata automaticamente. Ogni tanto qualche “Pulcinella bello” si stacca dal gruppo e con il “pon pon” tocca la testa di uno dei passanti oppure sfiora il seno di qualche spettatrice.

La gente assiste allo spettacolo disponendosi intorno alla piazza e qualche anziano offre ai “Pulcinelli” del vino, che essi bevono tirando fuori da una delle ghette la cannuccia che avevano riposto durante la vestizione.

Il ritmo della tarantella, quando danzano i Polëcënëllë bielle è allegro e brioso, ma diventa martellante e meno armonioso quando quest’ultimi rompono il circolo e lasciano la scena, sul calar della sera, ai “Pulcinelli brutti” che arrivano in piazza. I “Pulcinelli belli” attraversano i vicoli e giungono in una zona del timbonerie (calvario).

Qui si tolgono la maschera e ballano, fino a notte fonda, davanti e dentro le case degli amici che avevano partecipato alla vestizione. In questo carnevale paesano dai caratteri arcaici i “Pulcinelli belli” consegnano dunque al proprio doppio i tratti più triviali, conservando per sé il fasto e l’eleganza di una maschera “civile” , rispettando le norme codificate dalle società tradizionali nelle quali la perfezione corporea è normalità e sanità, mentre l’imperfezione e la bruttezza (ossia ogni forma di alterazione o deformazione corporea) è la bellezza all’incontrario, è la veste corporea dell’imperfezione morale, il riscontro visivo del comportamento deviante.

 

3. I “BRUTTI”: POLËCËNËLLË HAIDI, L’URSE E LA COREMMË

I Polëcënëllë haedi sono vestiti dimessamente, con abiti vecchi e riciclati, hanno il viso coperto di cenere e camminano in modo sgraziato, gettando cenere alla gente che incontrano e rivolgendosi alle ragazze con gesti osceni.

Altra maschera caratteristica di Alessandria è l’Urse, un animale fantastico che presenta i tratti dell’orso bruno, insieme alle corna degli animali selvatici. È imbottito di paglia e di lana, vestito di pelle di pecora o di capra di colore nero, emette versi gutturali e getta cenere sugli spettatori da un sacco di iuta che ha in mano.

L’Urse è legato con catene e porta sulla schiena dei campanacci. Vorrebbe muoversi liberamente, ma è tenuto a bada da due militari, dal volto mascherato di bianco, che per ridurne l’impeto lo strattonano. Ad Alessandria è presente anche la Coremmë (Quaresima), una donna anziana, zoppa, con il viso sporco di fuliggine, che ha in mano un fuso, con il quale colpisce i presenti, e un paio di forbici in tasca, per tagliare la lana .

In molte parti d’Italia, così come accade ad Alessandria del Carretto, le maschere si dividono in due gruppi contrapposti: belli e brutti, cristiani e mori. L’elemento di base della contrapposizione è etnico o religioso o sociale, ma il significato va oltre queste distinzioni, alludendo al contrasto tra inverno e primavera, o alla lotta tra bene e male, selvaggio e civilizzato, natura e cultura.

 

4. LE MASCHERE DI ALESSANDRIA OGGI: FUNZIONI E SIGNIFICATO

La rivitalizzazione attuale delle maschere ad Alessandria del Carretto induce tuttavia a riscrivere in parte la loro funzione e il loro uso all’interno della piccola comunità montana dell’Italia meridionale. Alcuni decenni addietro si poteva ancora parlare di “morte del Carnevale”, con la marginalizzazione delle maschere che erano destinate al divertimento dei bambini.

Tale situazione era la diretta conseguenza della disseminazione dei momenti ludici lungo tutto l’arco dell’anno, che aveva messo in crisi la dialettica carnevalesca tempo sacro/ tempo profano; della scomparsa della Quaresima, nella società dell’abbondanza col superamento dell’opposizione carnevalesca abbondanza/ scarsità; della caduta dei tabù tradizionali, che ha eliminato la possibilità di trasgressione, elemento connotativo del carnevale.

Oggi l’inattesa importanza attribuita alle maschere comporta la necessità di mutare l’approccio scientifico alla luce di fatti nuovi, quali le trasformazioni degli stili di vita, l’emergere di nuovi immaginari, lo sviluppo del turismo, la presenza invasiva dei mass media, la pervasività delle tecnologie informatiche.

Il Carnevale alessandrino del 2017 è stato un evento a cui hanno partecipato anche le maschere di Montemarano. All’ incontro dibattito sulle maschere e alla sfilata di quelle montemaranesi, sono seguiti, il 18 febbraio, suoni e balli montemaranesi e alessandrini con arrosto e vini in piazza.

Il giorno successivo, tutto dedicato ad Alessandria del Carretto, ha previsto la vestizione dei “Pulcinelli belli”, la sfilata e l’allestimento di stand con prodotti tipici e dell’artigianato.

Così il Carnevale con le sue maschere diventa un momento di ricomposizione simbolica comunitaria e una risposta alla disgregazione sociale; una richiesta di una diffusa domanda ludica, sollecitata dal disagio prodotto dal culto della produttività, dell’efficienza e dell’informatizzazione a tutti i costi; un momento creativo capace di evitare di trasformare la feste in un momento commemorativo, da vedere più che da vivere; un fenomeno ibridato, che grazie alla crescente presenza nell’ organizzazione della festa di figure dello spettacolo e dell’arte - ricicla in maniera creativa materiali e apparati simbolici antichi e moderni, riuscendo a rendere familiari i nuovi sistemi cerimoniali e ad essere sperimentale senza essere del tutto effimero; l’evento così manipolato consente di attrarre visitatori curiosi e desiderosi di scoprire tradizioni locali, le cui caratteristiche diventano oggetto di narrazione, supportate da foto scattate con i cellulari e postate sui social network, le quali oltrepassano l’angusto ambito locale per diventare patrimonio collettivo, cui attingono anche gli autoctoni che si servono di questo tipo di eventi per garantire un barlume di vita al paese - che sembra risvegliarsi dal torpore invernale - e per rendere più coesa l’identità di una comunità arroccata sulle pendici del Pollino calabrese.