Identità mediterranea come bene culturale multietnico

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Nelle comunità marittime che si affacciano al Mediterraneo, si è formata, nel corso dei secoli, un’identità culturale comune che possiamo definire mediterranea. Sebbene essa sia caratterizzata da specifici e differenti aspetti coincidenti con le diverse realtà etniche, attualmente tale realtà può essere inglobata in un unico insieme, grazie al fatto che il Mediterraneo costituisce l’ambito geografico in cui sono sorte e sono state elaborate e si sono sviluppate importanti concezioni filosofiche e religiose, fondamentali apparati simbolici, essenziali sistemi tecnici e funzionali che, in concreto, sono alla base delle attuali conoscenze e della moderna ricerca scientifica. È per questi motivi che la cultura mediterranea si colloca da tempo in una dimensione universale e può essere considerata come dinamica o «calda», secondo la nota distinzione levistraussiana delle culture. In essa, infatti, si ritrovano accomunate, in un unico insieme, le speculazioni della logica greca, le indagini matematiche pitagoriche, quelle geometriche euclidee, così come si ritrovano le applicazioni pratiche degli agrimensori egizi e le opere di idraulica degli Arabi o il razionalismo aristotelico di Averroè. In tale contesto teorico generale si collocano, inoltre, le numerose esperienze pratiche e applicazioni tecniche precedenti alla rivoluzione galileiana, realizzate grazie al particolare empirismo delle popolazioni mediterranee e storicamente veicolato attraverso un certo pragmatismo semitico, al quale si è facilmente innestato l’attivismo etico dell’Islam, che da parte sua, ha costituito uno specifico supporto ideale e identitario.

Si tratta di un complesso processo storico che ha prodotto un vasto e ricco patrimonio che, nel suo insieme, può essere definito, parafrasando una famosa definizione di André Leroi-Gourhan, come stile etnico mediterraneo, nel quale le differenze tra i popoli, che ne specificano i caratteri peculiari, danno la dimensione della dialettica e degli scambi culturali che si sono avuti nella sua formazione. La storia del Mediterraneo, nel contesto di tale dialettica, ha come costante la storia delle grandi città portuali, nelle quali si sono incontrate le differenze culturali presenti in questo mare, veicolate dalla solidarietà proprio della gente di mare. Da diversi decenni, Fernand Braudel ha chiarito, nel suo La Méditerranée. L’Espace et l’Histoire, quale sia stata l’importanza del Mediterraneo per i traffici mercantili in virtù dei quali si sono diffusi saperi e tecniche che, fra l’altro, hanno contribuito, non solo allo sviluppo culturale, ma anche a quello economico dei popoli mediterranei. In particolare, le scoperte e le conoscenze tecniche hanno costituito il patrimonio più condiviso e scambiato. A questo riguardo l’antropologia ha da tempo considerato che, nei processi di scambio culturale, le tecniche di lavorazione dei prodotti sono gli elementi che transitano meglio da un popolo all’altro attraverso i contatti culturali, ovvero attraverso la cooperazione spontanea, facilitata dalla particolare realtà ambientale del mare che, in pratica, agevola, per i popoli che vi si affacciano, lo scambio di merci e di saperi. Tale sistema si articola tramite un motore funzionale specifico dell’agire sociale degli uomini, la reciprocità, in base alla quale si apre e si dona agli altri ciò che essi non hanno per ricevere in cambio quello che gli altri hanno e che a noi manca.

Fin dall’antichità, grazie alla facile conducibilità culturale determinata dal Mare Mediterraneo, le tecniche della marineria sono da sempre un patrimonio comune a tutti i popoli che lo navigano; le tipologie delle imbarcazioni così come i sistemi di propulsione a remi e a vela, sino alla fine dell’Ottocento, presentano caratteristiche identiche, differenti da quelle realizzate in altri mari: si pensi, per esempio, alle imbarcazioni della tradizione baltica, a quelle realizzate nelle coste cinesi e nipponiche, come a quelle dei mari australiani. Lo stesso si verifica per gli strumenti da pesca. I pescatori del Mediterraneo utilizzano i medesimi tipi di nasse, di reti e di ingegni.

Con il diffondersi di conoscenze marinare si sono divulgati anche i saperi agricoli; a questo riguardo costituiscono esempi interessanti la presenza, in tutta l’area mediterranea, della coltivazione della vite e dell’ulivo: piante entrambe originarie dall’area mediorientale. Insieme a queste piante si sono diffuse anche le tecniche per la realizzazione dei relativi prodotti; in particolare, per quanto riguarda la produzione dell’olio d’uliva i sistemi sono identici in tutto il bacino mediterraneo: mondatura e lavaggio delle drupe, macinazione delle olive e impastatura; estrazione dell’olio o per pressatura o per colamento o mediante centrifugazione della pasta; separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione tramite l’immissione di acqua calda, quindi, decantazione e filtraggio dell’olio. L’impiego dell’olio per scopi alimentari ha permesso anche la sua utilizzazione per la conservazione dei cibi, così come per l’illuminazione. Le tipologie delle lampade ad olio possono variare da regione a regione e da epoca ad epoca, ma sono rimasti sempre costanti la funzione di combustibile dell’olio e i sistemi di lucignolo per ottenere la fiamma.

Connessa strettamente alla simbologia cromatica dell’ambiente marinaro, nella quale si ripongono significati, valenze e credenze propiziatorie, è la diffusione in tutta l’area mediterranea del colore celeste col quale vengono dipinte barche, porte, finestre e numerosi strumenti impiegati nei diversi lavori. La propiziazione del cielo e del mare per le popolazioni marinare, quali sono quelle mediterranee, ha sempre costituito una costante oggettiva, sulla quale sono state elaborate tradizioni mitiche e credenze magico-religiose. Le tecniche dei figuli, come dimostra concretamente una grande quantità di reperti ceramici che vanno dalla lontana Preistoria fino a noi, costituiscono dei saperi costanti. Per essi è sempre esistito un continuo scambio di conoscenze al fine di perfezionare importanti strumenti quali sono sempre stati i contenitori ceramici impiegati per la conservazione dei liquidi, fra i quali l’acqua è quello più importante. La diffusione da tornio del vasaio, rispetto alla precedente elementare tecnica del sistema a «colombino», è sicuramente stato l’esito di vasti scambi tra le esperienze delle diverse aree di produzione ceramica del Mediterraneo: l’area orientale e greco-anatolica, quella nordafricana e quella italico-iberica . In questo caso, così come in numerosi altri esempi riguardanti le tecniche di produzione, appare evidente l’articolarsi spontaneo di un’intensa cooperazione nella diffusione dei saperi tra le etnie mediterranee. Si tratta di un processo che, nel passato, è sorto e si è sviluppato senza una specifica volontà politica di fissare gli ambiti, i criteri e i limiti di cooperazione tra i popoli; è sorto e ha proceduto grazie al naturale contatto culturale facilitato dal fatto che esso avveniva nel particolare condominio costituito proprio dal Mare Mediterraneo: una sorta di vicolo, in cui i vicini di casa si conoscono e si frequentano; talvolta litigano, in altre occasioni si aiutano, in altre ancora si scambiano favori e merci, ma tutti quanti sono coscienti di appartenere e convivere in un’area che devono condividere, il Mediterraneo.

Nel contesto di questo mare, a questo riguardo si deve rilevare, infatti, che storicamente sono spesso sorti contrasti tra «i condomini», ovvero tra i popoli che vi si affacciano, così come si verifica spesso tra gli uomini che convivono in una stessa zona, proprio in conseguenza dei rispettivi interessi e delle specifiche diversità culturali, storiche ed etniche, in base alle quali si formano le diverse identità sociali e politiche, in quanto simboli di specificità identificative.

Tre importanti concezioni religiose, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo, sono sorte nel quadro culturale mediterraneo diffondendosi in tante altre regioni e coinvolgendo una grande quantità di popoli spesso etnicamente diversi, ma accomunati da una stessa fede che sta alla base dei rispettivi valori sociali. Pur nelle loro particolari diversità, tali concezioni hanno un comune sostrato etico e comuni principi di base fondati sul monoteismo; da qui i diversi punti di contatto, in particolare attraverso comuni capostipiti e progenitori da cui provengono i diversi lignaggi delle diverse etnie mediterranee.

Pur conservando le specifiche diversità locali, considerate positivamente valide di per sé e in quanto tali, grazie ad una raggiunta tolleranza antropologica verso le alterità e le diversità, attualmente i paesi mediterranei stanno acquisendo coscienza di questa loro identità di base e su tale consapevolezza stanno progettando un futuro di più intensi scambi di cooperazione per arrivare anche a soluzioni di unione politica e federativa. Rispetto al passato, questi rapporti di cooperazione e queste prospettive politiche sono stati possibili grazie al fatto che, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, si sono finalmente abbandonati i diversi etnocentrismi che sono stati alla base delle divisioni e degli scontri precedenti. Negli ultimi decenni si sta formando una nuova atmosfera socio-culturale come conseguenza delle dimensioni multietniche e multiculturali che assumono i centri metropolitani in quanto società complesse.

Si tratta di dimensioni demografiche, culturali e ambientali che determinano il formarsi di nuove categorie conoscitive e logiche che consentono di capire l’alterità e, quindi, di essere in grado di interagire, di accettare e di tollerare realtà sociali diverse da quella di appartenenza.

I grossi fenomeni di immigrazione e di circolazione demografica, che si stanno verificando negli ultimi tempi nel Mediterraneo, agevolano questo complesso e difficile processo di integrazione multietnica per cui ci si avvia a rafforzare la specificità composita della cultura mediterranea, intesa proprio nella sua dimensione multietnica e multiculturale.

Ciò costituisce una prospettiva di sviluppo sostenibile per le future generazioni mediterranee; inoltre, si propone come una delle forme di resistenza ai progetti di globalizzazione forzata. Tale prospettiva si dovrebbe trasformare anche in progetto politico nel quale i popoli mediterranei si possano riconoscere conservando ciascuno la propria identità così come sta avvenendo per i popoli della vecchia Europa, che ormai si ritrovano in quanto sintesi di più tradizioni culturali, travalicando, in questo modo, la formale unità monetaria e dei mercati.