Feste dell’uva e Madonne d’autunno

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La celebrazione, inizialmente proposta come “Giornata dell’uva”, poi come “La festa nazionale dell’uva” dallo stesso Mussolini, introdotta nel 1930 è fissata il 28 settembre di ogni anno1 . A Riccia, in provincia di Campobasso, la festa è attiva dal 1932. Nel 1938 la giornata prescelta è fatta coincidere con la celebrazione della locale festa religiosa della Madonna del Rosario.

Alla fine degli anni Sessanta, il parroco della Chiesa del Rosario, Francesco Viscione, crea un Comitato che propone, per la celebrazione della festa della Patrona di Riccia, la rievocazione del successo del 1938. La festa, ripresa come celebrazione della vendemmia, coincide definitivamente, la seconda domenica di settembre, con la festa della Madonna del Rosario.

L’offerta dei prodotti della terra, comune in altre feste religiose, si articola nell’allestimento di carri allegorici, così come sono stati reintrodotti nelle feste degli anni Trenta. Sui carri sono collocate le ricostruzioni ingigantite delle attrezzature della vinificazione, come in altre riattivazioni di feste dell’uva.

Le ricostruzioni, e in questo una delle particolarità locali, sono ricoperte da acini d’uva fissati secondo colore e tonalità. Con lo stesso procedimento sono realizzate le ricostruzioni di ambenti domestici e di lavoro. Su alcuni carri sono disposti filari di viti con i grappoli appesi e suonatori travestiti da contadini.

Ragazze in costume locale distribuiscono uva, vino e specialità gastronomiche locali. Su altri carri sono inscenati momenti del lavoro agricolo, della vendemmia, della trasformazione dei prodotti della terra. Su ogni carro è inserita l’immagine della Madonna del Rosario. Il corteo è arricchito da personaggi che eseguono musica e danze popolari, da sbandieratori e majorettes, secondo i nuovi modelli del consumo folclorico e della promozione dei prodotti agroalimentari.

Gli abitanti di Riccia, come osservato in altre rievocazioni e feste neo-tradizionali, citano se stessi per come immaginano di essere stati in un passato già percepito lontano. Cose e persone compongono come delle rappresentazioni da presepe, con personaggi viventi e oggetti animati, che si muovono e interagiscono tra loro e con gli spettatori.

La mitizzazione del mondo rurale, nella forma rappresentata, diventa autocitazione con la quale un’intera comunità propone la costruzione e reinvenzione della propria immagine, così come vorrebbe che fosse percepita all’esterno. Nelle guide turistiche, giornali, siti internet la festa dell’uva e della vendemmia di Riccia, consolidata espressione spettacolare della festa della Madonna del Rosario, sono presentati come evento di tradizione cristiana, ma anche di origine molto più antica, pur conteggiando le edizioni dal 1931.

Secondo quanto suggerito in una pubblicazione dl 1993, la festa di Riccia si collegherebbe agli antichi rituali della produzione cerealicola e vinicola, principali attività del paese molisano. Quest’asserzione si basa sulla considerazione che «La simbologia dei due alimenti, entrambi presenti nell’Eucarestia, risale alle civiltà precristiane ed addirittura neo-stanziali. Così non sembrerà eccessivo il riferimento ai culti bacchici che, dalla Grecia, dilagarono a Roma».

Questa considerazione alimenta l’esigenza, tutta moderna, di scoprire, spesso inventandole ex-novo, che le radici della comunità “affondano nella notte dei tempi”. Il riferimento ad arcaici rituali precristiani è ulteriormente utilizzato per collegare l’attuale sagra dell’uva, attraverso «un filo storico sotterraneo», alle feste orgiastiche in onore di Bacco e alle relative «spontanee danze campestri» della vendemmia e alla presenza dei carri allegorici adorni di tralci e grappoli d’uva.

Inoltre, è detto che «Il vero “Carnevale” di Riccia, nel senso originario che la parola “Carnevale” assume, può essere identificato in questa sagra; perché parteciparvi significa “uscire” dagli schemi, [ … ] perché, infine, essa [la sagra dell’uva di Riccia] comporta la libertà dei gesti e delle parole, eternata nell’antico rito dei “fescennini”».

Tutti i possibili collegamenti con rituali antichi sono richiamati per affermare l’arcaicità dell’attuale festa, che si legittimerebbe ulteriormente con il collegamento al Carnevale, secondo le interpretazioni che, ignorando ogni analisi storica e contestuale, è considerato diretta sopravvivenza di culti naturalistici. Questa fantasiosa linea interpretativa è subito accettata e proposta nelle guide turistiche regionali e dalla stampa locale.

L’introduzione fascista della festa dell’uva, pur vagamente ricordata, è presentata come azione con cui è accettata e codificata una tradizione ritenuta molto più antica dell’imposizione fascista. In questa prospettiva la sfilata dei carri allegorici è accostata ai Trionfi dell’antica Roma. In queste proposte interpretative, messe in evidenza nella moderna festa di Riccia, è giustificato il motivo, oggi del tutto ignorato, per cui la Chiesa, temendo rigurgiti pagani, non volle aderire ufficialmente all’iniziativa fascista.

La festa, che l’intervento fascista avrebbe solamente evidenziato, continua a essere presentata come la riattivazione di antichi riti, conservatisi grazie allo stato di “verginità” e “unicità” della tradizione popolare molisana. La festa dell’uva e dell’Addolorata a Solopaca Un’altra interessante fusione della festa dell’uva con una festa religiosa è quella di Solopaca, centro di nota produzione viti-vinicola in provincia di Benevento.

Della festa realizzata durante il fascismo non c’è quasi memoria, tranne qualche raro documento, come nel caso di una fotografia dell’edizione del 1937. Una fotografia del 1952, indicata come tra le più antiche, mostra un carro agricolo addobbato con elementi vegetali, su cui è posto un quadretto della Madonna con il Cristo morto.

Il carro, cui sono aggiogati due buoi, è fermo sotto le arcate delle luminarie delle festa patronale. Un’altra fotografia del 1955 mostra un carretto con una croce fatta di grappoli d’uva. La didascalia lo indica come «carro in onore dell’Addolorata». Alcune testimonianze orali recenti riferiscono che gli abitanti di un rione di Solopaca preparavano, già prima del fascismo, carri con uva e primizie di stagione.

I carri sfilavano la seconda domenica nella processione della Madonna Addolorata cui erano dedicati. Decaduta dopo gli anni Cinquanta, la festa è riattivata nel 1977 da intellettuali, professionisti e autorità locali che costituiscono un “Comitato d’onore della Madonna Addolorata”, similmente a quanto introdotto dal parroco Viscione a Riccia.

L’intento è rendere la festa più attuale e ripristinare la sfilata dei carri. Nella nuova realizzazione della festa, l’uva è utilizzata in chicchi incollati in modo da formare artistici mosaici. È anche proposto un nuovo mito di fondazione, secondo cui l’origine della festa e i carri allegorici risalirebbero al XVIII secolo e all’attività della “Confraternita dei Sette Dolori”.

Secondo tali attestazioni la festa iniziava con «la sfilata di contadine recanti ceste d’uva e frutta di stagione, seguita da artistiche composizioni di grappoli d’uva raffiguranti ora l’immagine dell’Addolorata», ora altre scene allegoriche. Quanto raccolto ed esibito nella sfilata era venduto all’asta per finanziare la festa.

Di tutto ciò esiste solo qualche testimonianza orale. Più attendibile è l’ipotesi del collegamento della festa con la vendita all’asta dell’uva offerta alla Madonna curata dalla Confraternita. Nel testo di commento di un documentario, è detto che l’uva e i prodotti della terra erano presenti anche nella feste di San Rocco e dell’Addolorata.

Le due feste si chiudevano, in un passato non altrimenti definito, con la vendita all’asta del contenuto dei carri. Le due prime settimane si settembre, nelle edizioni attuali, comprendono cerimonie religiose, competizioni sportive, esibizione di poeti dialettali e gruppi folcloristici, recite di scene di vita quotidiana, serenate, balli tradizionali, sfilate di moda, “Laboratori del gusto”, convegni.

La manifestazione più attesa è la sfilata dei carri allegorici, realizzati nelle botteghe artigiane dei Maestri Carraioli. La seconda domenica di settembre, il corteo è preceduto dalle autorità locali, dei Comuni della Valle Telesina (interessati alla produzione del Solopaca DOC) e della Provincia di Benevento, con i relativi stendardi.

Seguono i pannelli realizzati con mosaici di chicchi d’uva dalle cantine sociali e private della zona. Segue un lungo corteo storico, introdotto nel 1998, che ricorda la famiglia dei Duchi Ceva-Grimaldi, signori di Solopaca dal 1574 al 1764. Il lungo corteo è composto da figuranti in abiti d’epoca (dal XVI al XVIII secolo) e in costume tradizionale recanti esemplari dei prodotti locali, sbandieratori, tamburini.

Segue la statua della Madonna Addolorata interamente coperta di chicchi d’uva nera. I carri allegorici hanno le insegne dei Mastri Carraioli e delle aziende vitivinicole. I carri svolgono temi di fantasia, satirici, celebrativi, ricostruzioni in scala di monumenti italiani ed esotici, di draghi, lupi e altri animali realizzati con acini d’uva, con l’aggiunta di giocattoli, pupazzi in cartapesta, manichini dei negozi di abbigliamento, fantocci animati, persone in carne e ossa.

Il corteo è chiuso da un carro con un’orchestrina tradizionale, cui sono aggiunti tini capovolti, botti e barili di varie dimensioni utilizzati come percussioni. Ne risulta, come per Riccia, una dimensione festiva euforica e carnevalesca di grande fascino e attrattiva turistica, in cui è sempre più centrale la presentazione della locale produzione enogastronomia.